Sabine Weiss durante un firma copie a Les Rencontres de la Photographie d’Arles 2021 – © Marcello Mencarini
Il 28 dicembre scorso è morta a 97 anni Sabine Weiss, grande signora della Fotografia.
La critica ha riconosciuto fin dall’inizio il suo valore. Solo per dirne una, Edward Steichen seleziona tre suoi scatti per la mitica mostra The Family of Man al MoMA di New York nel 1955. Anche negli ultimi anni le sono state dedicate molte mostre importanti come, ultimamente, la grande retrospettiva a Les Rencontres de la Photographie di Arles del 2021 (Sabine Weiss : Une vie de photographe).
Nata nel 1924 in Svizzera e naturalizzata francese, Sabine Weiss è con Robert Doisneau, Willy Ronis, Édouard Boubat, Brassaï, Izis una delle principali figure della Scuola umanista francese.
Già da ragazza si appassiona alla fotografia. A 18 anni, a Ginevra, diventa apprendista fotografa nell’atelier di Frédéric Boissonnas fino al 1945, per poi aprire il proprio studio. Decide però ben presto, nel 1946, di trasferirsi a Parigi per fare da assistente al celebre fotografo di moda Willy Maywald.
Qui frequenta il giro dei poeti, pittori e musicisti tra Montparnasse, Saint-Germain-de-Près e Montmartre, ribadendo però sempre di essere una fotografa e non “un’artista”.
Il suo cognome da nubile è Weber. Nel 1949 conosce il pittore americano Hugh Weiss, che diventerà suo marito. Tra loro si stabilirà un forte legame umano e creativo: Sabine ispirerà molte tele di Hugh e lui la accompagnerà nei suoi viaggi e le farà spesso da assistente.
Se l’interesse per l’essere umano nella sua quotidianità è il nucleo centrale del suo lavoro, nel suo archivio non mancano reportage, servizi di moda, ritratti di artisti e lavori personali.
La fotografia per lei è stata un mezzo potente per esercitare il suo sguardo acuto e pieno di empatia, un alibi per osservare il mondo, per viaggiare ovunque e comunicare con tutti. Lucida, curiosa e arguta, fino all’ultimo.