Non era facile, dopo la pandemia, programmare un evento di portata internazionale come Les Rencontres de la Phtographie d’Arles. Mettiamoci questo, che non è un piccolo dettaglio, mettiamoci il nuovo direttore artistico (Christoph Wiesner che subentra a Sam Stourdzé), mettiamoci un nuovo sindaco di Arles che deve ancora ambientarsi, mettiamoci anche l’assenza di Voies Off, il festival parallelo che ha accompagnato per 25 anni la manifestazione maggiore con un off estremamente vivo e interessante. Fatto sta che queste Rencontres 2021 sono piuttosto deludenti, se paragonate al passato. Persino la grafica del festival è più anonima rispetto alle edizioni precedenti.
E la parte off non aiuta. Come già detto, dopo 25 anni Voies Off non c’è e la mancanza si sente molto. La corte dell’Archevêché – suo quartier generale nelle scorse edizioni – quest’anno è stata gestita da Myop con conferenze e dibattiti. Tutto bene, ma niente di paragonabile al lavoro che Christophe Laloi e il suo staff hanno fatto in questi anni con Voies Off e che ci manca tutto, dalle proiezioni notturne, alle letture portfolio accessibili a piccoli prezzi, alla scoperta di nuovi talenti, al coordinamento impeccabile di centinaia di esposizioni parallele che offrivano ad artisti di tutto il mondo la possibilità di una vetrina così prestigiosa. Oltre a Myop, quest’anno l’off è stato gestito da “Arles exposition”, ma si è trattato più di un’offerta logistica per affittare spazi espositivi che altro. Insomma, Les Rencontres perdono molta forza senza Voies Off.
L’impatto è stato subito strano. Entrando nella sede del Festival in rue du Doctor Fanton salta agli occhi l’assenza della grande statua di Lucien Clergue, uno dei fondatori delle Rencontres, che vi troneggiava fino all’ulrima edizione. Quasi un simbolo della fine dei tempi d’oro.
E poi, tra parentesi, una constatazione spiacevole. L’assegnazione dei permessi stampa gratuiti per la settimana d’inaugurazione quest’anno sono stati affidati a un’agenzia che voleva l’assicurazione di un pezzo pubblicato, oppure costringeva i giornalisti a pagare un pass professionale. Il motivo addotto dall’ufficio stampa è che il Festival deve autofinanziarsi con i biglietti perché non ha molti soldi (nonostante i finanziamenti di Stato, Regione, Comune e grandi sponsor). Quanto basta per ridurre l’informazione a marchetta.
Oltre al disagio iniziale in rue Fanton, in tutte le vie della cittadina era evidente l’assenza dii americani, inglesi, giapponesi… delle migliaia di persone venute da tutto il mondo che di solito affollano la settimana d’apertura e bloccate quest’anno dalle restrizioni sanitarie dovute al Covid-19. Tra gli stranieri, solo gli italiani erano abbastanza presenti, favoriti dalla vicinanza geografica.
Dunque, questo festival 2021 è in tono minore soprattutto per motivi che per la maggior parte non dipendono dall’organizzazione. Volendo essere ottimisti, il prossimo anno si potranno di nuovo sfruttare tutte le capacità espositive di Arles. Già da subito c’è in più la grande novità di LUMA, con la torre progettata da Gehry, il nuovo museo d’arte contemporanea, gli atelier ex SNCF ora attrezzati come splendidi spazi espositivi, il parco e tutto ciò che si può permettere Maja Hoffmann, proprietaria milionaria di LUMA nonché della multinazionale casa farmaceutica svizzera Roche. Ma anche da questo lato la sensazione non è rassicurante per Les Rencontres. Nonostante alcune mostre del festival che si possono visitare anche qui e le potenzialità enormi di questo nuovo spazio d’arte, per ora LUMA sembra anche qualcosa di staccato e piuttosto invadente, pronto ad inglobare un festival che va via via indebolendosi. Quasi una rappresentazione plastica dell’arte contemporanea che va sempre più inglobando la fotografia. Il che non è per forza un male.
Passando al programma della rassegna ufficiale, è sempre interessante, ma non emerge il carisma di una direzione coraggiosa.
Tra le mostre di punta alcune sfiorano benevolmente, in modo diretto o indiretto, i temi oggi dominanti del politicamente corretto. Come il Black Lives Matter riflesso nei lavori della nuova avanguardia dei giovani fotografi neri che si muovono tra arte e moda (“The New Black Vanguard. Photography between Art and Fashion”), che sono esposti nell’Église Sainte Anne insieme ad altre opere che riguardano la storia africana. O la mostra “Masculinities. Liberation through Photography” agli Ateliers LUMA, che indaga l’evoluzione del concetto di mascolinità – messo in dubbio da movimenti di rivendicazione femminile come il #MeToo – attraverso le foto di una cinquantina di autori a partire dagli anni Sessanta. A una fotografa “classica” – Sabine Weiss, maestra della fotografia sociale – è invece dedicata una retrospettiva, con molti inediti, al Muséon Arlaten; a 97 anni la fotografa franco-svizzera è stata una delle protagoniste, senza sottrarsi a firma copie e incontri con il pubblico che ha affollato la sua mostra, una delle più visitate. Altro tema forte: la musica jazz, con la mostra “Jazz Power! Jazz Magazine, Twenty Years in the Avant Garde”, alla Croisière. Ricerche più sperimentali si possono vedere sempre alla Croisière o al Palais de l’éArchevêché dove sono esposti i lavori di Almudena Romero (“The pigment Change”) e di Anton Kusters (“Blue Skies”). Sempre all’Archevêché sono in mostra anche i ritratti di Pieter Hugo.
Queste sono solo alcune proposte: nonostante i problemi logistici più volte ricordati e anche se molte meno degli scorsi anni, ci sono tante altre cose da vedere. Resta, però, che questa edizione non è tra le più memorabili.
Sarà anche effetto del Covid,, ma l’impressione finale è che sia proprio la formula tradizionale del festival di fotografia – compreso il più autorevole al mondo come quello di Arles – a non reggere il tempo. Le foto appese al muro da sole non bastano più. Trovare una nuova formula non è semplice – ed è impossibile, senza finanziamenti economici e senza osare – ma per chi attraverso la fotografia fa cultura per la gente, è la sfida degli anni a venire.
Monica Di Giacinto / Rosebud2
Sabine Weiss al firma copie
Jazz Power! Jazz Magazine, Twenty Years in the Avant Garde
Uno degli spazi alla Croisière dedicati alla mostra
Points de vue
Installazione audiovisiva di Clément Lambelet