Paris Photo 2021, Sezione Curiosa: Nuovi linguaggi del reportage

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Curiosa è la sezione dedicata agli artisti emergenti di Paris Photo, una delle fiere di fotografia più importanti del mondo che quest’anno si è svolta dall’11 al 14 novembre. All’interno di Paris Photo, esiste dal 2018 e offre un panorama interessante sulle nuove tendenze del linguaggio fotografico.

Questa edizione di Curiosa è curata da Shoair Mavlian, direttrice di Photoworks ed ex conservatore aggiunto del settore fotografia alla Tate Modern. La sua selezione comprende 20 artisti di 11 diversi Paesi. Le loro età vanno dai 24 ai 51 anni.

Come spiega la stessa curatrice, quest’anno Curiosa mete in luce quattro temi chiave della fotografia contemporanea: la fotografia documentaristica, la fotografia sperimentale, la fotografia diaristica, la fotografia concettuale.

Per quanto riguarda le nuove tendenze della fotografia documentaristica, gli autori selezionati sono: Anastasia Samoylova, Zora J. Murff, Johno Mellish, Kincso Bede, Mark Mahaney. Ognuno di questi artisti – sottolinea la curatrice – si ispira alla sua esperienza vissuta per documentare il quotidiano che lo circonda.

Samoylova, Murff e Bede partono effettivamente dal loro ambiente abituale e dal proprio vissuto, ponendolo come metafora di un contesto più ampio. La Florida come metafora degli Stati Uniti per Samoylova; la propria crescita personale come metafora dell’evoluzione della comunità afroamericana per Murff; le differenze tra generazioni nella propria famiglia come metafora della diversità tra quelli che nell’Europa dell’Est hanno conosciuto il comunismo e i più giovani, per Bede.

Per alcuni di questi cinque lavori è difficile restare ancorati al genere “fotografia documentaristica“, o al suo parente stretto, il reportage. Sono lavori “fluidi” che spaziano dalla diaristica, alla ricerca concettuale. Addirittura Johno Mellish dichiara esplicitamente di non essere interessato né alla fotografia documentaristica né al reportage. La sua ricerca è piuttosto concettuale e usa il linguaggio fotografico per mettere in scena le sue idee in una specie di gioco realizzato insieme alle persone ritratte.

Inoltre, solo il più “vecchio” dei quattro, Mark Mahaney sceglie di fotografare un ambiente lontano da quello dove vive abitualmente per documentare un argomento estremamente attuale: il cambiamento climatico.

Qui di seguito, si possono vedere alcune immagini tratte dai lavori di questi artisti.

Anastasia Samoylova

Anastasia Samoylova (Mosca 1984) vive e lavora a Miami. Artisticamente nasce come pittrice, prendendo ispirazione dal cubismo e dal costruttivismo, per poi dedicarsi alla fotografia. Si muove tra fotografia di osservazione (observational photography), pratica in studio e installazione. I concetti al centro del suo lavoro sono l’ambientalismo, il consumismo e il pittoresco.

La sua recente serie Floridas documenta la Florida contemporanea, dove vive, con sottili riferimenti sia alla sua complessa storia, sia al modo in cui è stata fotografata da altri, in particolare da Walker Evans. Per l’artista lo Stato della Florida, fortemente diviso, è infatti un simbolo condensato degli Stati Uniti. Come dice lei stessa: “Florida. Lo stato del sole. Lo Stato in bilico durante le elezioni (political swing-state). Il paradiso delle paludi. Il rifugio dell’eccesso. La fantasia turistica. L’inganno immobiliare. Il sogno della febbre subtropicale. Il luogo dove immagine e realtà diventano inseparabili”.

Zora J. Murff

Lo statunitense Zora J. Murff (1987) mette al centro del suo lavoro la vita dei cittadini neri d’America, spesso ricorrendo all’esperienza vissuta. Attivista per i diritti delle persone di colore, a Curiosa espone American Mother, American Father, lavoro in cui attinge a vecchie fotografie vernacolari e del suo album di famiglia combinandole con immagini di nuova produzione che sfidano gli stereotipi razziali.

In questo modo vuole partire da se stesso per fare una più ampia critica sociale. Indagando il suo desiderio di successo e riconoscimento, crescente negli anni ma conflittuale rispetto alle sue origini, la sua esperienza personale diventa la chiave di lettura di un fenomeno che riguarda tutta la comunità afroamericana. Non solo, ma riguarda anche la costruzione in generale di ogni identità personale rispetto alla società in cui vive.

Spiega lui stesso: “Le mie prime immagini sono state realizzate quando stavo sperimentando una rapida mobilità sociale verso l’alto e conoscevo l’Arkansas e il Mississippi, i miei paesaggi ancestrali. Visitare i luoghi di nascita delle mie famiglie materne e paterne mi ha costretto a riflettere su come costruiamo l’identità, come l’identità può essere creata per noi e come questi fenomeni si scontrano”.

Johno Mellish


Nel suo lavoro Conversations in Place, Johno Mellish (1991, Sudafrica) fotografa persone che ha incontrato: alcuni sono suoi amici, altri estranei, altri collaboratori. In ogni caso per lui è importante che il rapporto tra persona e luogo sia evidente.

Nello stabilire la veduta o l’inquadratura, il fotografo e i soggetti ripresi stabiliscono uno spazio di gioco dove mettere in scena delle storie. A lui non interessa il reportage o la fotografia documentaria, ma piuttosto lo spettacolo della vita nel momento. Spesso questo gioco è creato con artifici e con interventi per poter comunicare visivamente un’idea nel modo più chiaro possibile.

Kincso Bede

Kinscő Bede (1995) è una giovane fotografa rumena. Il tema centrale del suo lavoro è la convivenza tra generazioni che vengono da esperienze storiche differenti, come possano convivere insieme e collaborare in una famiglia e, in senso più ampio, in una comunità.

Si tratta dell’eredità del comunismo nell’Europa dell’Est in un contesto soxcio-economico completamente differente. Una coesistenza problematica tra vecchie e nuove generazioni che caratterizza fortemente l’ambiente di provenienza dell’artista.

A Curiosa Bede espone Three colors I know in this world, “Tre colori conosco in questo mondo”. Il titolo è una citazione della prima riga dell’inno comunista rumeno ed è una storia per immagini che, pur assumendo un valore più ampio, generazionale, parte dall’esperienza individuale dell’autrice.

Come spiega lei stessa: “Questa è una storia personale, considerando il fatto che il comunismo ha creato un enorme abisso tra la generazione dei miei genitori e la mia. Loro hanno vissuto il comunismo e hanno vissuto anche il cambio di regime, ma noi no. Quindi sanno qualcosa che noi non sappiamo. Quindi ecco questa storia di cui ho solo sentito parlare e di cui non ho fatto parte, ecco tutti i traumi ereditati dai miei genitori che si uniscono tutti come visioni nella mia testa ed ecco le sensazioni che provo nel mio corpo. La mia motivazione personale è avvicinarmi ai miei genitori”.

Mark Mahaney

Mark Mahaney (1979, Chicago) vive in California. Nel suo lavoro Polar Night ha fotografato Utqiagvik, la città più settentrionale dell’Alaska, mostrando quanto il cambiamento cimatico stia correndo. Da novembre a metà gennaio, i 4500 abitanti di questa città non vedono mai sorgere il sole. Per sessantacinque giorni la giornata non ha né inizio né fine, con effetti sia a livello psicologico che fisico. Questo periodo di oscurità è favorevole alla depressione, al suicidio, all’uso di droghe e alcol.

Partito con l’intenzione di documentare la vita dei 4500 abitanti, il fotografo californiano ha colto anche il problema politico del riscaldamento globale, qui particolarmente grave. Come dichiara lui stesso a Le Monde: “In questo luogo, anche se il terreno è coperto di neve e il fenomeno non è immediatamente evidente, la terra si sta riscaldando a una velocità doppia rispetto al resto del pianeta”. Il ghiaccio marino ha protetto finora quella costa dalle brutali tempeste costiere, ma il ghiaccio si sta assottigliando così rapidamente che non può più svolgere quel ruolo. Lo strato di ghiaccio sempre più sottile non protegge più la costa dalle tempeste e la città sta affondando. Le case che in precedenza avevano ampi giardini sono ora addossate alla costa e, in alcuni casi, intere città si sono impacchettate e si sono trasferite per miglia nell’entroterra. Le cose sono andate così male che il governo dell’Alaska ha recentemente avvertito della rapida diffusione di una condizione chiamata solastalgia, il disagio causato da gravi danni all’ambiente vicino alla propria casa. Ma gli abitanti, quasi tutti inuit, sono piuttosto restii a parlare dei problemi legati al clima, dal momento che la maggior parte vive traendo profitto dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, che contribuisce a peggiorare quegli stessi problemi.

Le condizioni di lavoro sono state piuttosto difficili. Tra l’altro Mahaney ha dovuto mettere l’attrezzatura in borse a tenuta stagna (del tipo usato per gli sport acquatici) per proteggerla dalla condensa che si formava mentre passavano dalle condizioni estreme all’aperto alle temperature interne.

L’estetica di questo lavoro riflette volutamente la complessità del luogo. Per esempio, non c’è un unico metodo di illuminazione: alcune foto sono illuminate dai pannelli a LED, altre scattate al buio completo con lunghe esposizioni.